Il primo ministro della Finlandia, Sanna Marin (Depositphotos)

di Francesco Colonnese

Nel lungo cammino verso la gender equality molta strada è stata compiuta in questi anni: l’eliminazione delle barriere socioculturali che allontanano le donne da ruoli di vertice in politica è un imperativo, tuttavia il gap tra gli standard dell’Europa nel suo complesso e l’Italia rimane molto marcato.

L’Inghilterra ha già avuto due primi ministri donna (Thatcher, May) oltre alla Regina Elisabetta II (il Capo di Stato più longevo della storia contemporanea); in Germania si è da poco conclusa la lunga era politica della Cancelliera Merkel; Finlandia, Svezia, Norvegia, Estonia, Lituania, Danimarca sono tutte democrazie che hanno già avuto Capi di Stato o di governo donna.

In Italia l’unica leader di Partito che, a oggi, può concretamente aspirare alla guida di Palazzo Chigi è Giorgia Meloni. Anche le Istituzioni dell’UE hanno tracciato una linea chiara in questo sentiero: per la prima volta nella storia europea, Parlamento, Commissione e BCE hanno alla propria guida tre donne: a capo della Commissione Europea, dal luglio 2019, risiede Ursula von der Leyen, ex-ministra tedesca e membro della CDU; nel novembre dello stesso anno, l’Avvocata parigina Christine Lagarde, già direttrice del FMI, è succeduta all’allora presidente Mario Draghi; qualche mese dopo, a prendere il posto del compianto Presidente David Sassoli è stata la maltese Roberta Metsola.

Ci si astiene dall’esprimere valutazioni politiche sulle leader donne appena citate; molto meglio, invece, mettere sotto la lente di ingrandimento i principali trend sociali afferenti al tema.

Il primo aspetto che colpisce è ciò che viene definito “glass cliff”, la “scogliera di cristallo” (intesa come “precipizio” non come “vista panoramica”), fenomeno che consiste nell’affidare la responsabilità di governare ad una donna nei periodi storici più critici, come accaduto quando Christine Lagarde, nel 2011, è stata nominata a capo del FMI in piena crisi economica. Esemplare poi il caso di Theresa May che, nel 2019, non è riuscita nella complicatissima impresa di far adottare dalla Camera dei Comuni il suo accordo per la Brexit, vedendosi costretta ad abbandonare la guida del Partito Conservatore. La stessa Ursula von der Leyen è giunta alla presidenza della Commissione Europea dopo un’elezione marcata dall’affermazione dei partiti più euroscettici in Europa. Il “glass cliff”, per fortuna, non rappresenta un fenomeno ordinario ma rimane un campanello d’allarme.

Seppure storicamente in salita, il cammino verso l’equilibrio di genere delle donne in politica prosegue inesorabile. L’impresa di venire eletta come prima Presidente degli Stati Uniti non è riuscita ad Hillary Clinton nel 2016. Ci sarebbe da aggiungere che, in realtà, la Senatrice Clinton tecnicamente ha ricevuto 3 milioni di voti in più rispetto a Trump; tuttavia, nel sistema americano dei grandi elettori, il risultato non è stato sufficiente all’elezione. Proprio nel “Concession speech” ovvero il discorso solenne in cui la candidata perdente ha riconosciuto la vittoria dell’avversario, la Clinton ha dedicato il suo messaggio alle donne: “A tutte le donne che hanno avuto fede in me e in questa campagna, voglio che sappiate come nulla mi abbia resa più orgogliosa di essere stata la vostra campionessa. Anche se non abbiamo ancora sfondato il più alto e il più duro soffitto di cristallo, so che un giorno qualcuna lo farà, e spero sarà più presto di quanto si creda". Non è possibile stabilire quanto si riveleranno profetiche queste parole ma c’è da scommettere che il futuro della politica a stelle e strisce possa rivelarsi più roseo del previsto: Kamala Harris (prima Vice-Presidente donna degli USA) e Alexandria Ocasio-Cortez (la più giovane parlamentare nella storia statunitense) sono solo alcune delle leader donna degli Stati Uniti che presumibilmente potranno giocare la partita decisiva per la Casa Bianca.

Nel Vecchio Continente, la leadership politica femminile più significativa, senza dubbio, è rappresentata da Sanna Marin. Classe ’85, la prima ministra finlandese è il più giovane Capo di governo al mondo. Protagonista (suo malgrado) di questa triste fase storica per via dell’invasione Ucraina, la Premier Marin ha chiesto l’ingresso della Finlandia nella NATO, una scelta politica che, alla luce dei delicatissimi equilibri geo-politici attuali, definire semplicemente “coraggiosa” non renderebbe giustizia. Eppure, la biografia di Sanna Marin è costellata di coraggio fin dai primi anni di vita: “festeggia” il primo compleanno in un rifugio per donne maltrattate con una madre che ha cercato di difendersi da un marito violento e alcolizzato. Cresce, negli anni ’90, all’interno di una famiglia arcobaleno. Consegue la laurea in Scienze dell’Amministrazione e un master presso l’Università di Tampere (la seconda città finlandese più grande dopo Helsinki) non senza sacrifici, versando la sua famiglia in condizioni economiche precarie. Fondamentali per il completamento degli studi, sono risultati in quella fase gli introiti da panettiera e cassiera.

Oggi Sanna Marin rappresenta la migliore espressione di rinnovamento in politica (femminile e non), un misto di autenticità e chiarezza diventato case study anche grazie alle storie Instagram in cui gioca a pallacanestro (come Obama) che nulla tolgono al suo impegno nell’attuale fase geopolitica di portata storica attraversata dalla Finlandia.

Lo stereotipo di leader inscalfibili (“uomini”, ça va sans dire) è morto con il secolo scorso, perlomeno in Occidente. Lo stato di salute di una democrazia oggi si misura anche dall’accesso paritario alla gestione del potere politico. Un potere che non può più avere figli di serie A e figlie di serie B. I tempi sono maturi per prenderne atto. Serenamente.