Uno dei pregi fondamentali di Gente d’Italia è quello di dare spazio a tutte le idee e le analisi sulla vita politica, economica e culturale dell’Italia. Come Gruppo Cattaneo abbiamo quindi letto con attenzione l’articolo del Prof. Antonio Giuseppe Di Natale intitolato “A proposito di sovranismo”, in cui egli presenta una serie di casi in base ai quali si dichiara sovranista, in un crescendo che si conclude con la seguente  frase: “Se credere nella sovranità popolare così come stabilito dalla nostra Costituzione è il male assoluto, allora bisogna abolire la Costituzione”. Nessuno del nostro Gruppo ha vissuto nel periodo fascista né nella fase del dibattito dell’Assemblea costituzionale. Tutti noi però siamo convinti della bellezza e della validità della nostra Costituzione. Nulla ci farebbe recedere dal dettame del comma 2, dell’Art. 1, che recita: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Forme e limiti che attengono alla democrazia diretta, quando il popolo legifera attraverso i referendum abrogativi o confermativi; e alla democrazia indiretta o rappresentativa “quando il popolo, nell’esercizio della sua potestà d’impero, elegge periodicamente i suoi rappresentanti, cui è affidato il compito di legiferare”, come spiega Giovanni Conserva nelle sue note alla fondamentale legge dello Stato. La prima domanda che sorge spontanea è: secondo il Prof. Di Natale, con cosa sostituiamo la Costituzione vigente? E quindi, chi abroga l’attuale Costituzione? Chi scrive la nuova Costituzione? L’instabile maggioranza relativa che uscirà dalle urne del prossimo 25 settembre? Come si sostituirà il sovranismo alla sovranità popolare della “Repubblica democratica fondata sul lavoro”? Che cosa significa davvero la nuova buzz word sovranismo, che è diventata la parola chiave della campagna elettorale? E che viene ventilata implicitamente dalla nuova guru della destra insieme ai suoi alleati, attaccati allo strascico della vestale dura e pura del tempo (non proprio bello) che fu? Si dice che il sovranismo sia nato come bandiera della lotta indipendentista del Québec francofono contro la federazione di province anglofone del Canada, iniziata a metà del secolo scorso. Il concetto ha ora assunto molte sfaccettature, nella maggior parte “contro”, per esempio contro il liberismo, la globalizzazione, l’appartenenza alle organizzazioni internazionali come la UE e la Nato; oppure “a favore” di qualcosa, prima di tutto un riemergente e rampante nazionalismo a tutti i costi. Qui sta il busillis, il punctum dolens, il vero problema. Con quali soldi, con quali materie prime, con quali fonti energetiche, con quali derrate di base l’Italia può permettersi di ipotizzare un rientro nello schema fallimentare dell’autarchia e del razionamento imposti dal regime del ventennio perché non c’era altra possibilità di ottenere forniture esterne a prezzi calmierati? Con quale forma di Governo si pensa di sostituire la struttura di un esecutivo protetto dall’istituto della fiducia parlamentare? che garantisce la democrazia, ma ogni tanto porta a risultati del tutto incomprensibili, come quelli del 20 luglio scorso  al Senato. La cieca ed egoistica reazione di alcuni agglomerati politici ai sondaggi sulle tendenze di voto delle consultazioni, previste per la primavera del 2023, ha travolto il Governo di unità nazionale. I figli impazziti hanno pugnalato alle spalle il padre efficiente e stimato, per non dire nobile che, dal febbraio del 2021, li aveva protetti per quanto possibile dalla pandemia; dall’assalto dei mercati internazionali che, appena vedono una debolezza, colpiscono alla giugulare; dalla mancanza di finanziamenti, e così via, realizzando anche una diminuzione del debito pubblico e un aumento della crescita economica superiore alle previsioni. Tutto questo è stato immediatamente messo in pericolo dalla fine del Governo Draghi, dalle convulsioni interne del Movimento che fu, dall’ambizione personale pseudo-femminista di colei che vuole in qualunque modo diventare la prima donna Presidente del Consiglio della (ancora) Repubblica italiana. Malgrado le sue ultime dichiarazioni buoniste, in attesa di rinnegare il Patto Atlantico e i trattati di Roma, la neo-premier in pectore avrà come alleati Orban in Ungheria e Erdogan, il Presidente che ha lasciato senza sedia a un incontro istituzionale Ursula van der Leyen, la Presidente della Commissione europea, che avrà un enorme peso nel decidere se ammettere o no la Turchia nella UE. Le previsioni su quanto accadrà il 25 settembre, e su quanto tempo ci vorrà a costruire un nuovo Governo che duri per più di sei mesi, non si potranno azzardare fino a quando non si saranno definite le alleanze e le candidature che devono essere presentate il 15 agosto al termine del balletto delle ipotesi elettorali. Poi scatterà l’analisi dei programmi di governo basati su proposte politiche piene di paroloni non comprensibili alla maggioranza dei votanti e di assicurazioni velleitarie che non si trasformeranno mai in realtà. Il sovranismo è un’utopia autolesionistica, concretamente irrealizzabile, ma estremamente attrattiva per i gruppi di protesta, come quelli che hanno azzoppato l’Italia nel 2013 e nel 2018 con la nascita, l’ascesa e ora il tuffo nel precipizio mortale da parte del MoVimento, spezzato già in due tronconi, ma ancora in attesa che si completi la corsa verso l’auspicio di uno scranno da parte degli ultimi transfughi. Le promesse a Berlusconi, Meloni e Salvini, che avevamo ipotizzato nel Politicamente Scorretto di sabato 23 luglio, sono state confermate poco dopo da autorevoli quotidiani pubblicati nello Stivale. Il Titanic procede danzando verso lo scontro con l’iceberg della storia politica italiana. Ci sarà, sfortunatamente, da divertirsi. Mai come in questo momento l’Italia avrebbe bisogno dei giganti che hanno costruito la Repubblica basata sulla bellissima Costituzione italiana. Le voci sagge dei maratoneti della polis e della realpolitik non vengono ascoltate. E il mostro del sovranismo è in agguato, pronto a illudere anzitutto i giovani al loro primo voto, a 18 anni, per un Senato ridotto a 200 persone e una Camera con 400 deputati, pieni di neofiti perché alcuni partiti e movimenti applicheranno senza deroghe la decisione di non ricandidare chi ha già fatto un numero prefissato di mandati e quindi sa quello che fa. Ne nascerà un nuovo Parlamento a rischio di profonda inesperienza e di decisioni avventate. Che Dio ce la mandi buona! Ne abbiamo davvero bisogno....

Carlo Cattaneo