DI SILVANA MANGIONE

Una nuova RAI International...... da affiancare però a RAI Italia per adempiere a tutti i compiti affidati alla televisione di Stato per la proiezione urbi et orbi della nostra Repubblica. Alla sua nascita, l'allora RAI International aveva il duplice compito di promuovere la comprensione e l'insegnamento della nostra bellissima lingua e di raccontare e unire l'Italia contemporanea e l'Italia fuori dai confini. Parliamo degli anni '90, quando era (ed è ancora adesso) necessario sfatare le leggende urbane di centinaia di migliaia di discendenti dell'emigrazione tradizionale, che avevano costruito dentro di sé – e quindi diffondevano ad amici e conoscenti – una visione limitata e non aggiornata del miracolo economico e sociale italiano che si era sviluppato a partire dal 1958. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, il Paese si è trasformato, passando da un sistema principalmente rurale a una potenza industriale che, nel corso degli anni, lo ha fatto entrare a buon diritto nel G7 e fra i tre Paesi leader dell'Unione europea. In particolare, sotto la guida del grande giornalista Roberto Morrione, ricordato nel bell'articolo di Stefano Casini, la RAI International adempiva pienamente alla sua missione. La Presidenza del Consiglio garantiva un contributo cospicuo per la produzione di programmi originali al passo con i tempi e accattivanti anche per la nuova emigrazione, che non si chiamava ancora nuova mobilità. Tanto per fare un esempio, adesso, invece, fra le produzioni di RAI Italia per il consumo estero c'è un programma intitolato "Paparazzi", condotto in un inglese dalla pronuncia "broccolina", che fin dalla canzoncina d'apertura ci riporta indietro agli stereotipi dell'emigrato con la valigia di cartone, dell'insulto e del ridicolo contro cui le comunità hanno combattuto in tutto il mondo. Facciamo qui, a mamma RAI, una duplice preghiera: per favore, non mandatelo in onda in Italia e smettetela di metterlo nel nostro palinsesto. Una delle nostre battaglie, da decenni, è infatti quella di trovare un modo concreto per far lavorare insieme gli italo-esteri con gli italodiscendenti e con gli esponenti della diaspora più recente, per dare maggior forza all'immagine dell'Italia. Quello di cui non abbiamo affatto bisogno è di tornare a essere dipinti come personaggi da barzelletta, anche di fronte a un pubblico di italofoni stranieri, che vuole essere informato sulle bellezze e le capacità della Grande Italia. Nel suo discorso di insediamento la Signora Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Giorgia Meloni, ha detto: "E aggiungo che tornare a puntare sul valore strategico dell'italianità vuol dire anche promuovere la lingua italiana all'estero e valorizzare il legame con le comunità italiane presenti in ogni parte del mondo, che sono parte integrante della nostra comunità nazionale". Se il primo e fondamentale strumento di comunicazione che arriva dall'Italia alle comunità allargate, citate dalla premier, subisce una metamorfosi linguistica che si inchina allo strapotere delle diverse accezioni dell'inglese, l'obiettivo di "promuovere la lingua italiana all'estero" viene, come minimo, allontanato nel tempo per non dire negato. Già esiste un costante attentato alla nostra bellissima lingua negli accenti, le volgarizzazioni, l'ignoranza di congiuntivi e condizionali, che affliggono molti personaggi, anche importanti, spesso intervistati in virtù dei loro incarichi. Non possiamo aggiungere lo sberleffo di rubriche che ci dipingono come buffoni in una pseudo lingua estera. L'uso dei sottotitoli nelle trasmissioni che presentano gli ultimi successi italiani in molti campi è certamente un modo utile per diffondere la conoscenza del nostro Paese. Ma la sottotitolatura in inglese non basta. C'è un'altra lingua, parlata da milioni di oriundi: lo spagnolo. La proposta di alcuni di noi, quindi, è quella di affiancare a RAI Italia un secondo canale, chiamato, appunto, RAI international, che parli almeno i due idiomi usati dalla maggior parte dei Paesi di nostra presenza: l'inglese e lo spagnolo, come chiedeva Stefano Casini. Ci vogliono soldi. Sì, è vero. Ci vogliono molti soldi. Sì, lo sappiamo. Ma sembra quasi che l'Italia ufficiale, l'Italia di Governo, l'Italia che "gestisce" l'Italia, si stia chiudendo nello spazio ristretto del proprio ombelico, in un circolo vizioso che azzera le sue esigenze di proiezione globale attraverso una comunicazione non frammentata. E l'informazione che ci raggiunge sul canale di Stato dà troppo risalto alle questioni negative. Mi permetto di suggerire a tutti di andare a guardare i telegiornali francesi per l'estero, che dipingono con tratti soltanto elogiativi e positivi quanto avviene sotto gli occhi della "Marianna", la giovane donna dal cappello frigio che simboleggia la Repubblica francese e i suoi valori fondanti di Libertà, Uguaglianza e Fraternità. Manipolazione informativa? Sì. Ma viviamo in un mondo governato da mezzi di comunicazione rapidissimi, in pillole, e fuorvianti. Nel caso francese abbiamo molto da imparare. Da secoli l'Italia ha un ossessivo pudore, misto a paura, nel raccontare le sue eccellenze, le sue abilità, i suoi altissimi livelli di successi intellettuali, creativi, scientifici e imprenditoriali. Qualche strano nume, di cui non conosciamo il nome, ci ha condannati a mettere in evidenza prima di tutto quanto "ci manca in confronto agli altri", quanto "è sbagliato nei nostri comportamenti", quanto "avremmo da imparare" da molti che dall'estero ci rilanciano quello che, già da tempo, abbiamo inventato noi stessi, come fosse di loro esclusiva fabbricazione. È dunque urgente lanciare una RAI International, trainante dell'immagine del Belpaese, pronta ad affiancare e sostenere i contenuti anche dei piani di governo, regioni e realtà locali, centri di eccellenza e offerte culturali e scientifiche, mostrandone gli aspetti positivi, raccontati nelle due lingue dei Paesi che fanno parte del retaggio di imperi coloniali veri, i quali, però si rivolsero agli emigrati italiani per disegnare e costruire le loro città e molti altri aspetti positivi della loro vita quotidiana. Riprendiamone il possesso e presentiamolo a tutti coloro che desiderano ascoltarci. E anche a chi non vorrebbe che magnificassimo i nostri meriti.