Emmanuel Macron ha cancellato con un tratto di penna la dottrina Mitterrand, dopo quarant'anni di equivoci, furbizie e malintesi. Tornano così in Italia gli ultimi reduci di un esercito sconfitto negli anni di piombo che la Francia aveva accolto e protetto per ragioni ambiguamente umanitarie in realtà soprattutto per un impulso di sicurezza interna. È una vicenda lunga e complicata che comincia con un patto sancito nel 1985 all'Eliseo tra il presidente socialista e il premier italiano Bettino Craxi.

Fu lui a chiedere a Mitterrand di evitargli la grana del ritorno delle centinaia di esuli in fuga dalle inchieste di terrorismo, fin dalle prime confessioni fiume dei pentiti, Fioroni per l'Autonomia, Peci per le Br, Sandalo per Prima Linea. Il più imbarazzante di tutti era Toni Negri, eletto nel 1983 alla Camera tra i radicali e riparato a Parigi non appena scarcerato per evitare un nuovo arresto. Fu così che all'uscita dell'incontro bilaterale François Mitterrand pronunciò quella che sarebbe poi stata chiamata "dottrina", che non fu mai tale ma semplicemente una dichiarazione politica.

Il linguaggio è tortuoso, nello stile retorico di Mitterrand, ma il senso è chiaro. Si può leggere su Le Monde del 25 febbraio 1985. "... si trovano in Francia un certo numero di italiani, circa trecento. Un centinaio son venuti qui da prima del 1981. Hanno rotto in modo evidente con il terrorismo. Essi hanno messo su casa, ci vivono, si sono sposati, hanno fatto famiglia. La maggior parte di loro ha chiesto di essere naturalizzati... se non saranno fornite prove di una loro partecipazione diretta a crimini di sangue, non saranno estradati. I casi per i quali sarà dimostrata la responsabilità in crimini di sangue o quelli che si sottrarranno alla sorveglianza, si procederà all'estradizione". In conclusione Mitterrand affermava che la Francia non sarebbe mai stata "terra d'asilo" per i terroristi.

Com'è accaduto che invece è successo il contrario? E qui le cose si complicano perché nell'affastellamento di processi di terrorismo, i dossier che arrivavano dall'Italia erano spesso di difficile lettura per i giudici francesi, le accuse erano quasi sempre fondate sulle parole dei pentiti diventati nel nostro ordinamento l' "istituto" su cui poggiavano tutti i processi ma che in Francia non esisteva e non veniva riconosciuto. Inoltre le condanne, quando arrivavano, soprattutto nei confronti degli "esuli", erano inevitabilmente per contumacia, altro istituto inesistente nel diritto francese, dove un accusato può essere condannato solo in sua presenza.

C'è poi da aggiungere un fatto politico di fondo, che la giustizia e i governi italiani, passati gli anni dell'emergenza non si sono mai veramente impegnati a reclamare le estradizioni. Insomma l'andazzo è stato accettato dalle due parti, in un'inerzia burocratica che da una parte liquidava ogni dossier sotto l'etichetta della famosa "dottrina" e dall'altra si dava per scontato che non c'era niente da fare. Naturalmente tutti gli "esuli", come precisato dallo stesso Mitterrand, vivevano sotto stretta sorveglianza perché la ragione di fondo per cui la Francia aveva accettato di convivere con essi era di evitare saldature tra terroristi italiani e gruppi francesi. Lo sparuto nucleo di "Action directe", l'unica formazione terrorista transalpina e responsabile di quattro omicidi, quindi niente di paragonabile al "piombo" italiano, era stata liquidata velocemente e con condanne a vita (e paradossalmente grazie a una pentita).

Così si è andati avanti fino all'agosto 2002 quando improvvisamente e nel giro di poche ore venne arrestato ed estradato Paolo Persichetti, uno degli ultimi combattenti delle Br-Ucc, condannato per concorso nell'omicidio del generale del carabinieri Licio Giorgieri, Roma 1986. Cos'era successo? Che in Francia, dopo gli anni della gauche di Lionel Jospin, aveva vinto le elezioni la destra gollista e ministro della Giustizia era stato nominato Dominique Perben il quale, interrogato sul caso Persichetti, aveva risposto sferzante: "Ho consultato i codici e non ho trovato nessuna dottrina Mitterrand". Veniva così dichiarato che tutto l'affare rifugiati era stato tenuto insieme per volontà politica, non per ragioni di diritto. Pochi giorni dopo arrivava a Parigi il Guardasigilli italiano, il leghista Roberto Castelli, si riapriva l'intero dossier e si conveniva che del centinaio circa di ex militanti di formazioni terroriste a ancora ricercati (per molti era ormai scatta la prescrizione) la Francia avrebbe restituito sono quelli condannati per partecipazione diretta ad omicidio. Erano una quindicina.

E si è così arrivati a Cesare Battisti, che doveva essere il primo di quella lista. Come tutti ricordano invece è diventato un caso emblematico, nell'opinione pubblica francese di sinistra ma non solo, estradando Battisti la Francia "tradiva la parola data da Mitterrand", era come se la patria dei diritti dell'uomo rinunciasse a se stessa. La mobilitazione fu enorme e anche largamente caricaturale. Il primo segretario del partito socialista François Hollande andò alla Santé a portare la solidarietà all'illustre detenuto. Il sindaco di Parigi, il socialista Bertrand Delanoë, gli concesse la cittadinanza onoraria.

Gli intellettuali si schierano in massa con Battisti, da Daniel Pennac a Fred Vargas e Bernard-Henri Lévy. Si dileggiava l'Italia governata da Berlusconi come il paese che al fondo rimaneva "fascista" nelle istituzioni e condannava in contumacia i militanti del movimenti di opposizione di massa degli anni '70. Battisti ebbe la libertà provvisoria, ma a sorpresa i giudici in primo grado e poi in appello, concessero l'estradizione, il Consiglio di Stato confermò, il premier ministre Raffarin firmò. Sennonché poche ore prima di essere arrestato, Battisti scomparve per riapparire mesi dopo in Brasile, dove era arrivato grazie a due passaporti falsi che gli erano stati forniti - secondo la sua confessione - dai servizi francesi.

Ministro dell'Interno era Nicolas Sarkozy, il quale pochi anni dopo, eletto all'Eliseo si trovò a gestire un altro caso di estradizione, quello di Marina Petrella, brigatista e condannata all'ergastolo per vari omicidi. A Parigi da anni, la Petrella è amica di Valeria Bruni Tedeschi, attrice, sorella di Carla Bruni moglie di Sarkozy. Su questo giro famigliare molto si è insinuato, fatto sta che il presidente ha rifiutato l'estradizione per ragioni umanitarie essendo la Petrella in cattive condizioni salute, richiudendo così, per l'ennesima a volta l'intero dossier. Un nuovo emblematico caso di come la questione rifugiati italiani abbia attraversato lo spettro politico e culturale francese.

Ora a spingere Emmanuel Macron è di nuovo una ragione politica, la questione sécurité è al primo posto nel duello che si annuncia tra un anno con Marine Le Pen per l'Eliseo, una lunghissima campagna elettorale si sta già combattendo, Macron sta presentando una nuova legge antiterrorismo al parlamento e non può permettersi cedimenti di questo fronte, né reali né - dopo tanti anni - piuttosto simbolici come questo con i rifugiati italiani.

Dopo cinquant'anni dai fatti, come nel caso di Giorgio Pietrostefani condannato per l'omicidio Calabresi, dopo quaranta per gli altri, che uomini e donne sono quelli che torneranno in Italia? Se la giustizia deve fare il suo corso, tutta questa storia lascia l'impressione di una lunga ingiustizia costellata di viltà politiche, equivoci culturali e colpevoli ritardi.

di Cesare Martinetti