di Matteo Forciniti

È stato aperto pochi giorni fa a Roma un nuovo processo nei confronti di Jorge Troccoli, l’ex militare uruguaiano già condannato all’ergastolo lo scorso anno nel processo Condor insieme ad altre 13 persone.

Con il verdetto della Cassazione, è stata definitivamente accertata la responsabilità dei militari sudamericani per crimini di lesa umanità commessi nei confronti di 43 cittadini di origine italiana nell’ambito dell’operazione Condor, il piano organizzato dalle dittature del continente per spazzare via ogni forma di dissidenza tra gli anni settanta e ottanta.

Questa volta, sempre nell’ambito del piano Condor, Troccoli è accusato dell’omicidio di tre persone: Raffaella Filipazzi, José Luis Potenza ed Elena Quinteros.

Filipazzi era originaria di Brescia ed era arrivata da bambina con la famiglia in Argentina scappando dalla Seconda Guerra Mondiale. Insieme al marito -un militante peronista- si esiliarono in Uruguay dopo il golpe del 1976: la coppia fu sequestrata il 27maggio del 1977 presso l’Hotel Hermitage a Montevideo e trasferita poi in Paraguay dove furono entrambi uccisi. I loro copri vennero ritrovati nel 2006 ad Asunción.

Elena Quinteros era una sindacalista anarchica arrestata il 26 giugno del 1976 e trasferita in un centro di detenzione clandestino chiamato “300 Carlos”. Pochi giorni dopo, con la scusa di consegnare ai militari un altro suo compagno, si fece portare vicino all’Ambasciata del Venezuela dove cercò di scappare senza successo. I suoi resti non vennero mai incontrati.

All’epoca di questi fatti Jorge Troccoli era il responsabile dell’S2, il servizio di intelligence della Marina militare uruguaiana. La sua posizione è saltata fuori da documenti ufficiali del Fusna (Cuerpo de Fusileros Navales de Uruguay), presentati dal Governo uruguaiano alla Corte di Roma.

Troccoli è stato un personaggio chiave per la dittatura uruguaiana, un torturatore reo confesso come raramente accade. Lui stesso, infatti, in passato arrivò a giustificare il suo operato in un celebre libro (“L’ira del Leviatano”) dove rivendicava le violazioni dei diritti umani nel nome della difesa della patria e dell’anticomunismo nel periodo della guerra fredda.

Dopo l’apertura dei processi in Uruguay organizzò la fuga in Italia dove arrivò nel 2007 grazie a un passaporto ottenuto per via di un bisnonno paterno. Si stabilì prima a Marina di Camerota e poi a Battipaglia (Salerno). Attualmente si trova detenuto nel carcere di Carinola, in provincia di Caserta, a seguito della condanna dello scorso anno.

Nel nuovo processo che si è appena aperto a Roma diverse istituzioni si sono presentante come parti civili: il governo italiano, i tre sindacati Cgil, Cisl e Uil, il partito uruguaiano Frente Amplio e anche il governo argentino. A differenza di quanto fatto con il processo Condor, questa volta il governo uruguaiano non parteciperà come parte civile bensì come parte offesa il che implica di non poter assistere agli interrogatori o intervenire in una richiesta di risarcimento danni.

“La giustizia, nonostante sia lenta, non si ferma”. Questo il commento dato alla stampa di Arturo Salerni, avvocato difensore insieme a Mario Angelelli, che nel novembre del 2020 presentarono la denuncia.