Anche Giampiero Mughini ha voluto dire la sua sul caso-Geolier a Sanremo. Lo scrittore, noto tifoso juventino, in una lettera aperta a Dagospia

Premesso che a me il ventitreenne rapper napoletano Geolier è piaciuto moltissimo, e per i suoi tempi musicali e per la maestria con cui manovrava il dialetto napoletano, resto di stucco a vedere riferita sui giornali come fosse un'opinione qualsiasi e perciò legittima, l'accusa che gli è stata fatta "di non cantare in italiano", ossia la sciagurata accusa di un qualche analfabeta che non sa di che cosa sta parlando.

Naturalmente io non condivido l'atteggiamento di quei napoletani che reputano la "napoletanità" un assoluto che sta alla base di ogni cosa del vivere e dell'essere, e invece sì la reputo _ a cominciare dall'uso del dialetto napoletano _ una ricchezza ulteriore della nostra repubblica. Una repubblica non dimentichiamolo costituita dalla meravigliosa fusione (grazie Garibaldi) di repubbliche diverse l'una dall'altra e di culture ciascuna magnifica e autosufficiente.

 

L'Italia vuol dire aver messo assieme le storie di Firenze, Venezia, Genova (una repubbllica che al suo apice prestava i soldi alla corona d'Inghilterra), Siena, Palermo (alla cui corte è nata la lingua italiana), Trieste (alcuni dei più bei versi della letteratura italiana sono vergati in dialetto triestino), la Napoli di Giovambattista Vico, Totò, i fratelli De Filippo, Raffaele La Capria e ne sto dimenticando.

Ditemi voi se tutto questo non è una speciale e particolarissima ricchezza del nostro Paese. Era talmente intensa ai miei occhi e alle mie orecchie la lingua di Geolier che la sentivo profondamente mia. Avessi votato, avrei votato lui. Senza esitare. E' poi singolare che a uno come me, e questo solo per aver detto in morte di Diego Armando Maradona che era morto un uomo e non un Dio, è toccato di essere bersagliato di insulti su quella nota rete fognaria che sono i social. Viva Geolier, viva Napoli, viva l'Italia.