di MATTEO FORCINITI

La protesta eclatante scoppia con tutta la sua forza nel quarto anno del mandato dell’ambasciatore Giovanni Iannuzzi in Uruguay. L’ultimo capitolo di questa triste e grottesca avventura si conclude nel grido di rabbia di una comunità delusa e rassegnata alla decadenza dell’Italia in Uruguay a dispetto di un glorioso passato.

 

Questo 2023 che non è ancora finito si porta dietro un’imponente e spontanea contestazione nei confronti della rappresentanza diplomatica italiana più attenta al marketing rispetto alla richiesta di servizi consolari efficienti.

Mentre ufficialmente ci si concentra a promuovere con straordinaria enfasi i prodotti italiani, il diritto alla cittadinanza in Uruguay continua ad essere negato e umiliatotrovare un appuntamento sul sistema on line di prenotazione è praticamente impossibile, inoltre gli affari degli intermediari che rivendono le date continua a prosperare nonostante sia arrivata una denuncia (meglio tardi che mai) alla magistratura. L’Ambasciata fa di tutto per nascondere l’emergenza delle cittadinanze, la propaganda profumatamente pagata ci racconta la favola che tutto funziona alla perfezione eppure, inevitabilmente, qualcuno inizia ad alzare la voce di fronte allo scempio. Sempre più persone iniziano riunirsi tramite i social per provare a fare qualcosa.

 

 

A febbraio una prima azione di protesta viene organizzata fuori dalla sede della cancelleria consolare, la nuova palazzina costata due milioni di dollari (per la gioia di un partito politico) che avrebbe dovuto magicamente risolvere la situazione. Dopo gli appelli inascoltati e la consegna di una lettera alle autorità la protesta cresce di livello.

Nel mese di marzo l’Ambasciata spende all’incirca 12mila dollari per organizzare la sua indimenticabile biciclettata con annesso festival gastronomico al Mumi, il Museo de las Migraciones di Montevideo. È qui che va in scena una nuova e più grande iniziativa: “Vogliamo i turni” gridano pacificamente fuori dal museo un gruppo di cittadini controllati a vista dalla polizia. “Il sentirsi italiano va oltre il passaporto” si limita a dire dal palco Iannuzzi insieme all’amico Sergio Puglia ricordandoci che prima ancora dei diritti occorre essere dei consumatori per ottenere un po’ di considerazione in UruguayLa grande priorità resta sempre il commercio come viene dimostrato per l’ennesima volta con l’apertura in questo periodo di un ufficio ICE, l’agenzia governativa che promuove il commercio estero e supporta le imprese italiane che cercano di espandersi all’estero.

 

 

A settembre è la volta di una nuova partecipazione all’Expo Prado, l’esposizione agroindustriale dove viene allestito un padiglione con la collaborazione delle aziende dove si arriva a spendere almeno 70mila dollari. Per festeggiare la chiusura dell’Expo Prado l’ambasciatore snobba la storica riunione alla Casa degli Italiani organizzata dai patronati dove un fiume di gente alza la voce chiedendo una soluzione al problema degli appuntamenti.

I mesi passano ma la musica non cambia a Montevideo: da una parte le iniziative dell’Ambasciata ossessionata dal made in Italy e della cucina, dall’altra un’indignazione crescente contro questo menefreghismo istituzionale in cui partecipa anche il Comites di Aldo Lamorte: l’organismo che dovrebbe rappresentare i cittadini italiani è latitante, non esiste.

 

 

Il mandato di Iannuzzi in Uruguay si conclude nel peggiore dei modi. Il 23 novembre, in occasione del “Día del Inmigrante Italiano in Uruguay”, l’Ambasciata è nuovamente travolta dalle proteste di un gruppo di cittadini che manifestano in strada fuori dalla sede la propria indignazione. È l’ennesima prova di forza di un gruppo che sta crescendo a macchia d’olio nonostante le recenti aperture di nuovi appuntamenti ancora del tutto insufficienti per coprire una domanda che si aggirerebbe intorno al mezzo milione di richieste.

I festeggiamenti per il “Día del Inmigrante Italiano” sono il trionfo dell’ipocrisia all’interno di questa visione puramente commerciale che si è instaurata in Uruguay: i migranti e i discendenti sono degni di attenzione solo al momento di comprare prodotti italiani ma guai a chiedere il rispetto dei propri diritti. 

 

 

 

 

Il panorama è completato anche dall’arrivo degli ispettori del Ministero degli Esteri venuti nelle ultime settimane a Montevideo per spulciare le malefatte dell’ambasciatore, il primo passo per farci capire che a breve verrà fuori qualcos’altro e non sarà positivo.

Con la valigia pronta verso l’agognata  nuova destinazione - che non arriverá mai, la Farnesina é stanca dei problemi causati dal nostro - Iannuzzi si avvia a lasciare l’Uruguay con una serie di episodi difficilmente replicabili: la morte di un connazionale rimasta impune (Luca Ventre), la censura alla stampa con la vendetta contro Gente d’Italia colpevole di aver fatto il proprio lavoro, il diritto alla cittadinanza negato per migliaia di cittadini indignati, la tolleranza dell’illegalità verso il Comites del compagno di merende Aldo Lamorte e poi ancora le spese pazze per la propaganda e lo snobismo spudorato verso ogni forma di partecipazione a aggregazione di una comunità in crisi.

 

 

Il racconto di questo disastro inaudito finisce qui. Adesso inizia una nuova battaglia, quella giudiziaria, per ristabilire la verità dei fatti e fare luce sulla deriva autoritaria che si è abbattuta sull’Uruguay in questi ultimi quattro nefasti anni. Iannuzzi e Lamorte sono stati infatti denunciati dalla Direzione e dalla Redazione di questo giornale sia in sede civile - con richieste personali di indennizzo milionarie - sia in sede penale per i falsi commessi sulla distribuzione e sulla reale circolazione di Gente d’Italia nella collettivitá italiana in Uruguay e in Sudamerica

Fine

Prima parte: Il 2020, dall’emergenza perenne della pandemia agli italiani bloccati

Seconda parte: Nel 2021 succede di tutto dall’omicidio di Luca Ventre ai misteri delle elezioni del Comites e l’attacco contro la libertà di informazione

Terza parte: Nel 2022 la grande sintonia con Aldo Lamorte e la nuova censura alla stampa. La vergogna delle elezioni e il trionfo del marketing sui diritti dei cittadini: la democrazia umiliata